Iago Corazza
Iago Corazza

Iago corazza è un fotogiornalista italiano, specializzato in reportage di carattere principalmente sociale, etnico e antropologico. Ha iniziato a viaggiare e a fotografare a 15 anni attraversando per la prima volta il deserto del Sahara, e da allora non ha mai più interrotto i propri percorsi attraverso le strade di tutto il mondo realizzando centinaia di articoli, documentari, servizi televisivi e giornalistici e libri con editori come National Geographic, White Star, Five Continents, Oasis e tanti altri. Ha curato come regista o direttore della fotografia la produzione di grandi eventi, show, spettacoli musicali e importanti programmi televisivi. Ha realizzato memorabili spedizioni giornalistiche come il giro del mondo in auto, 64.000 km di pura avventura e fotografia.

1) Come è nata la tua passione per la fotografia e quando ti sei orientato sul reportage?

Credo che fotoreporter si possa solo essere, non fare. E’ una situazione continuamente appagante ma immediatamente deludente che ti lascia sempre in punta di piedi, senza che tu possa riposare mai. E’ la necessità di un continuo nuovo stupore e il bisogno di restare affascinati dalla bellezza, dalla complessità e dalla diversità dell’essere umano. Avevo solo 15 anni quando mi sono arreso a questa situazione di meraviglioso disequilibrio e, decidendo che la mia vita sarebbe trascorsa nel tentativo infinito di fotografare me stesso nato nei diversi luoghi del mondo respirando diverse culture e abbracciando diverse tradizioni, religioni e persone, attraversai il Sahara per la prima volta. Se questo volesse dire fare il fotoreporter non lo sapevo ancora ma già allora era chiaro che non si trattava di una scelta, semplicemente non avrei potuto fare diversamente.

2) Il tipo di fotografia che rappresenti necessita di preparazione e studio. Come scegli le tue mete e come ti prepari?

Fin dai primi viaggi e dai primi reportage utilizzo un sistema che in tanti anni è risultato utile e affidabile, garantendomi ottimi risultati. Ogni volta che vengo a conoscenza di una notizia, di una curiosità, di un’informazione particolarmente interessante conservo questo materiale riponendolo in un’apposita cartella. Anni fa si parlava ovviamente di carta e di stampe mentre oggi il contenuto digitale di queste cartelle trova posto ordinatamente nel mio computer. Aggiungendo poi continuamente appunti, immagini e dati reperiti tramite amici, viaggiatori, colleghi, esperti dei vari settori ma soprattutto attraverso libri e informazioni da siti web specializzati, le cartelle si arricchiscono sempre più fino a quando radunano abbastanza informazioni per consentirmi di progettare un viaggio nel luogo interessato. A questo punto si verificano a fondo i contenuti, si inizia a studiare il percorso e  a cercare informazioni e contatti sul posto e si mette a punto la nuova spedizione.

3) Hai mai rinunciato ad un viaggio?

Devo ammettere che oggi, guardando mio figlio ancora piccolo, l’idea che segua le mie orme mi preoccupa un poco. A 16 anni, per non dipendere in alcun modo dalla famiglia avevo infatti già trovato il modo di andare a vivere da solo. E pieno di orgoglio, di principi e poco altro avevo fatto scelta estremamente lucida e consapevole per un ragazzo di quella età: avevo deciso che per mantenere viva la mia passione per la fotografia di reportage non avrei dovuto inizialmente cercare di trasformarla in un lavoro, perché questo avrebbe sicuramente esaurito la sua magia e la spinta che mi teneva in piedi. Tenendo fede a questo principio, da allora ho praticato una lunga serie di mestieri in modo da mantenermi mantenendo viva la fotografia. E ho imparato a dormire pochissimo, a non avere abitudini di alcun tipo, a non temere di perdere un lavoro ma, soprattutto, a non dire mai di no a un viaggio. Questa è ancora oggi la più importante delle mie regole. Non è vero che un viaggio si può posticipare, che lo si può recuperare in seguito, un’altra volta. Quel viaggio è perduto per sempre. Se è vero che lo si potrà programmare in un’altra data lo si farà a scapito di una nuova indispensabile esperienza, che andrà a sua volta perduta.

4) Quanto tempo dedichi alla post produzione?

Per chi si occupa di reportage la post produzione delle immagini è un punto cruciale. Il patto di lealtà che un fotoreporter stringe con i suoi lettori consente loro di emozionarsi solamente in presenza di immagini vere, autentiche, che siano in grado di testimoniare con la loro realtà la presenza del reporter nel luogo e nel momento dell’avvenimento. Per fare questo gli allievi della mia scuola di fotografia imparano a gestire il lavoro di post produzione in modo delicato e non invasivo, riequilibrando luci, toni e colori fino a simulare un assoluto realismo, per donare ai volti dei loro soggetti un incarnato plausibile e il più possibile somigliante a quello originale. Chi possiede una buona tecnica, e necessariamente un buon monitor, riesce ad essere veloce quanto accurato in questo lavoro. Il vero problema è che difficilmente un fotoreporter riesce ad “appaltare” il lavoro di postproduzione ad un assistente, perché il controllo personale in questa fase è importantissimo. Ma in fondo questo vale anche per la realizzazione degli stessi reportage.

5) Sei sempre stato fedele ai monitor EIZO. Oggi sei ancora dello stesso parere?

Durante la realizzazione del mio primo libro fotografico con un editore internazionale mi resi conto che per qualche misterioso motivo le immagini da me postprodotte non assomigliavano per nulla a quelle delle prove di stampa che mi venivano sottoposte. I grafici responsabili del progetto si accertarono con poche domande che la mia preparazione tecnica era, a dir poco, folcloristica e il mio controllo sull’immagine nella fase di post produzione era affidato più alla sorte che alle regolari procedure del caso. Furono loro a spiegarmi, semplicemente, che senza vedere correttamente quello che stavo facendo su di un monitor affidabile, le mie probabilità di avere immagini somiglianti a quelle stampate erano vicine allo zero. E furono loro a pronunciare per la prima volta la parola magica “EIZO”. Era la prima volta che sentivo quel nome, ma non lo avrei mai più dimenticato. Dopo tanti anni infatti, la mia soddisfazione nell’uso di questi eccellenti monitor è andata sempre crescendo e questi fedeli compagni di lavoro, con cui condivido ad ogni ritorno la scoperta gelosa delle nuove immagini, costituiscono oramai un indispensabile elemento di arredo in varie postazioni della mia casa. Oggi posso godermi, da veterano, l’emozione e la soddisfazione dei miei allievi quando il primo monitor EIZO entra a far parte della loro attrezzatura e le loro immagini prendono vita ed equilibrio per restituire così le emozioni di quei momenti unici che aspettano solo di essere raccontati.